Il mondo dell’apicoltura, spesso marginalizzato e sottovalutato nel settore agricolo, cela al suo interno una vastità di problematiche difficili da immaginare per i ‘non addetti ai lavori’.
Per averne un’idea ci siamo rivolti a Gabriele Grossi, giovane imprenditore apicoltore ruvese e studente della facoltà di agraria. Ci spiega che una delle sfide più complesse che la moderna apicoltura da reddito (e non solo) si trova ad affrontare, è la Varroa destructor, un acaro che parassitizza la covata, arrivato in Europa negli anni ’80 del secolo scorso. Una volta che la regina ha deposto l’uovo nella celletta, prima che questa venga opercolata per lo sviluppo della larva in neanide e ninfa, vi entra una femmina di Varroa, che per partenogenesi depone un uovo che darà vita ad un maschio, con cui si accoppierà e deporrà altre uova femminili. Tutte questi esserini che si sviluppano nella celletta, ovviamente si nutrono dell’emolinfa (il ‘sangue’ degli insetti) a scapito della nostra larva. Ovviamente, da buone intenditrici, le Varroe prediligono le cellette delle larve maschili, che hanno un ciclo di sviluppo leggermente più lungo rispetto a quello delle femmine. Una volta sfarfallate le api, le Varroe usciranno insieme a loro, per poi tornare dopo qualche giorno in un'altra celletta e ricominciare il ciclo.
La portata di infestazione della Varroa è enorme: secondo alcuni calcoli, da due sole Varroe in covata maschile, a inizio stagione, si possono moltiplicare fino a raggiungere le 90mila unità alla fine dell’estate. I danni ovviamente, se non gestiti correttamente possono essere incalcolabili, a causa della debolezza cui sono condannate le api parassitizzate, quando riescono a nascere.
I trattamenti a cui si può ricorre sono molteplici, da metodi meccanici, come il telaino trappola, lo spazio Mussi, a metodi chimici l’uso di acidi organici come l’acido ossalico (COOH)2, o fisici, come il riscladamento dell’arnia (la Varroa, a differenza delle api, non sopravvive oltre i 40-45°).
Insomma la Varroa è un parassita con cui non c’è molta scelta: bisogna necessariamente conviverci.
Dunque da dove vengono le principali difficoltà? Ci racconta Gabriele che è proprio l’ignoranza e l’indifferenza verso il problema il più efficace vettore di questa come di altre malattie dell’alveare. In Occidente le api viaggiano senza difficoltà da un paese all’altro, persino da un continente all’altro, senza la minima garanzia sanitaria, e con loro anche ogni tipo di parassita o patogeno: abbiamo verificato che persino su siti amatoriali, come Subito.it (e non abbiamo paura di fare nomi, perché simili ‘bestialità’ vanno denunciate a viso aperto), vengono messi in vendita da ogni parte d’Italia api regine o anche interi alveari di cui ci si intende disfarsi per poche decine di euro.
Le api sono diventate un oggetto mediatico, simbolo di ambiente, ecologia, sostenibilità, e pochi attenti scorgono tutte le incongruenze che ci sono tra il ‘simbolo’ e il lavoro di migliaia di apicoltori che fanno del servizio alle api il proprio lavoro, con passione e dedizione, e non semplicemente un ‘passatempo della domenica’.
Ci ricorda ancora Gabriele: “Occorre urgentemente recuperare l’interconnessione tra apicultori e agricoltori: gli uni non possono fare a meno degli altri; occorre, intendersi, capirsi e sviluppare piani di gestione del territorio che conservino una visione vasta e complessa, non settoriale e semplicistica, degli ecosistemi e soprattutto degli agroecosistemi di cui ci siamo fatti carico noi uomini”.
DRUPO
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