Questo mese non saremo noi a scrivervi…
“Il nostro personaggio giace da milioni di anni, legato a tre atomi d’ossigeno e a uno di calcio, sotto forma di roccia calcarea. Per lui il tempo esiste solo sotto forma di pigre variazioni di temperatura. Il banco calcareo di cui l’atomo fa parte, giace alla portata dell’uomo e del suo piccone in un qualsiasi momento, che io narratore decido essere nel 1840, un colpo di piccone lo staccò e gli diede l’avvio verso il forno a calce, precipitandolo nel mondo delle cose che mutano. Venne arrostito, ma lui, fermamente abbarbicato a due compagni ossigeni, uscì per il camino e prese la via dell’aria. La sua storia si fece tumultuosa. Fu colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato a dieci chilometri. Fu respirato da un falco e fu espulso. Si sciolse nel mare, e ancora fu espulso. Viaggiò col vento per otto anni, poi incappò nell’avventura organica. accompagnato dai suoi due satelliti che lo mantenevano allo stato di gas, fu condotto dal vento, lungo un filare di viti. Rasenta una foglia, vi penetra, e rimane inchiodato da un raggio di sole. entra nella foglia, aderisce a una grossa e complicata molecola che lo attiva, e simultaneamente riceve il decisivo messaggio dal cielo sotto la forma folgorante di un pacchetto di luce solare ed inserito in una catena, la catena della vita. Ora il nostro atomo fa parte di una molecola di glucosio: un destino né carne né pesce, che lo prepara ad un primo contatto con il mondo animale, ma non lo autorizza alla responsabilità più alta, che è quella di far parte di un edificio proteico. Viaggiò dunque, dalla foglia per il picciolo e per il tralcio fino al tronco, e di qui discese fino a un grappolo quasi maturo. Quello che seguì è di pertinenza dei vinai: a noi interessa solo precisare che giunse al vino senza mutare natura. È destino del vino essere bevuto, ed è destino del glucosio essere ossidato. Il suo bevitore se lo tenne nel fegato, come alimento di riserva per uno sforzo improvviso; sforzo che fu costretto a fare la domenica seguente, inseguendo un cavallo. Addio alla struttura esagonale: nel giro di pochi istanti ridivenne glucosio, fu brutalmente spaccato in due molecole di acido lattico, il tristo araldo della fatica: solo più tardi l’ansito dei polmoni poté procurare l’ossigeno necessario ad ossidare con calma quest’ultimo. Così una nuova molecola di anidride carbonica ritornò all’atmosfera. Di nuovo vento, che questa volta porta lontano: supera gli Appennini e l’Adriatico, la Grecia, l’Egeo e Cipro: siamo sul Libano e la danza si ripete. L’atomo di cui ci occupiamo è ora intrappolato nel tronco venerabile di un cedro. Dopo vent’anni (siamo nel 1868) se ne occupa un tarlo: ha scavato la sua galleria fra il tronco e la corteccia, con la voracità cieca e ostinata della sua razza. Ecco, ha ingoiato e incastonato in se stesso il soggetto di questa storia; poi si è impupato, ed è uscito in primavera sotto forma di brutta farfalla grigia che ora si sta asciugando al sole, frastornata e abbagliata dallo splendore del giorno: lui è là, in uno dei mille occhi dell’insetto, e contribuisce alla visione sommaria e rozza con cui esso si orienta nello spazio. L’insetto viene fecondato, depone le uova e muore: il piccolo cadavere giace nel sottobosco, si svuota dei suoi umori, ma la corazza di chitina resiste, indistruttibile. Ecco al lavoro gli instancabili e invisibili becchini del sottobosco, i microrganismi dell’humus. La corazza è lentamente disintegrata, e l’ex bevitore, l’ex cedro, ex tarlo, ha nuovamente preso il volo.”
(Liberamente tratto da Il sistema periodico, P. Levi)
PICCOLE IFE
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