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Mini green-playlist

Aggiornamento: 15 mag 2020

Cari sclerati, il dibattito su cosa possa essere considerato “Arte”, è più grande di tutti noi messi insieme e di certo non potremmo snocciolarlo in questa piccola pagina. Quindi by-passerò secoli di discussioni e vi parlerò di Musica questo mese perché sì, per me è da considerarsi Arte tutto ciò che ci provoca un’emozione e tutto ciò che permette a chi la crea di esprimersi. Spesso canticchiamo distrattamente, aspettando che il semaforo difenti verde e non ci facciamo caso, ma credetemi, il panorama musicale è pieno di riferimenti al mondo Verde. Non potendo spodestare tutte le altre Ife, occupando tutte le loro pagine, ho fatto a malincuore una strettissima selezione ed ecco a voi il risultato, perciò… prendetevi due minuti, mettetevi delle cuffie e premete play!

“BIG YELLOW TAXI” – Jony Mitchell (1970). L’ho ritenuta importante perché è considerata la prima vera canzone ecologista e perché ha una storia tutta particolare alle sue spalle. La cantante canadese ha infatti trovato ispirazione durante un suo viaggio alle Hawaii, quando, affacciatasi alla finestra del suo “pink hotel” (molto probabilmente il Royal Hawaiian di Honolulu) ha visto contrapposte la bellezza dell’Oceano Pacifico e delle montagne tutte verdi al grigiore dell’asfalto di un parcheggio esteso fino all’orizzonte, sottolineando anche la pazzia dello sradicare gli alberi per poi metterli in un museo (“They took all the trees / And put ’em in a tree museum/ And they charged the people A dollar and a half to seem ’em”). Dopo il ritornello si scaglia anche contro il DDT: “chi se ne frega delle mele perfette se poi mi fate morire le api e gli uccelli” dice secondo una traduzione non proprio oxfordiana. Spoiler dal futuro: quel ritmo tropicaleggiante vi resterà in testa tutto il giorno.

“FIVE YEARS” – David Bowie (1972). Qui cambiamo genere, toni e melodie: si entra in uno scenario distopico molto forte.

Viene infatti annunciato che alla fine del mondo mancano solo cinque anni e il Duca Bianco vaga per le strade raccontandoci quello che vede. Scenario così macabro che non si può che lasciar spazio alla teatralità: tutta la canzone è un climax vortiginoso.

Inizialmente l’incredulità fa da padrona e il nostro Duca parte piano, sottovoce tanto da costringere a regolare tutti i volumi in fase di registrazione (d’altronde, voglio vedere a voi se non ne rimarreste senza parole!). Ma nel frattempo il tempo sulla terra continua ad avanzare inesorabile e la frenesia di fare tutto ciò che si è sempre tralasciato aumenta di pari passo al panico e perché no, anche alla rabbia: tutti estranei come sempre ma ora accomunati dall’essere vittime – ma soprattutto autori- dello stesso destino. E tutto ciò non può che trasformarsi in melodie sempre più ricche (basso, chitarra e piano) al limite del fastidioso. L’ansia aumenta ancora e il Duca urla ormai disperato, violini dal suono distorto lo accompagnano.

Il messaggio è chiaro, no? Anche noi ci trasformeremo in bestie quando ci annunceranno la fine in Tv?

“IL VECCHIO E IL BAMBINO” – Francesco Guccini (1972). Stesso anno, stessa scia distopica: la “polvere rossa” suggerisce uno scenario post-atomico, abbiamo il Passato e il Presente/Futuro che si confrontano. L’anziano inizia a raccontare la bellezza della natura viva, dell’avvicendarsi delle stagioni e dei campi in fiore… ma i vecchi si sa, “non sanno distinguere il vero dai sogni” e il dubbio che fosse stato tutto reale sfiora anche l’anziano, come dimostrano la titubanza delle sue parole e i ritmi affannati… per il bambino, invece, sembra tutto direttamente una favola.

Che dire, la Natura si riconferma ancora una volta la musa ispiratrice di veri capolavori. Credetemi questa playlist potrebbe continuare ancora quindi potremmo passarvela nei prossimi giorni sui social… STAY TUNED!

SALMONELLA

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