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La regola dei 5 secondi

Aggiornamento: 9 nov 2020



Questo mese giungiamo alla fine del pranzo mangiando un’arancia. Dramma: nel separarne gli spicchi uno di essi ci cade per terra! Che fare? Qui il genere umano si divide in due grandi gruppi: chi lo raccoglie immediatamente, ci soffia sopra, esclama “è stato per terra meno di 5 secondi, non è ancora contaminato!” e lo ingurgita senza problemi; e chi, nel secondo gruppo, termina di mangiare l’agrume, raccoglie lo spicchio dal pavimento e lo getta nel bidone dell’umido esclamando “ho letto su ‘Lo Sclerozio‘ che la regola dei 5 secondi è scientificamente una puttanat*!”

La regola dei cinque secondi professa che: se un pezzo di cibo cade per terra hai 5 secondi per prenderlo e mangiarlo prima che venga invaso dai batteri. Diverse ricerche hanno studiato la regola per capire se ci fosse qualcosa di vero, ma i risultati sono stati negativi. Ad esempio, la ricercatrice americana J. Clarke ha dimostrato che anche una brevissima esposizione (< di 1 secondo) contaminava il cibo caduto su una superficie infestata dal batterio E. coli. Questa ricerca l’è valsa il premio Nobel nel 2004. Qualche anno dopo, P. Dawson, tentò lo stesso esperimento con criteri ancora più precisi e procedimenti più complessi. Il batterio Salmonella riuscì a trasferirsi sul cibo in meno di un decimo di secondo. Dopo le sue conclusioni, Dawson propose di ribattezzare la suddetta regola in “regola degli 0 secondi”. Nella scienza però ci sono poche certezze incontrovertibili e accade spesso che nuove ricerche mettano in dubbio le conclusioni di altri scienziati. In parte è proprio quello che è accaduto agli studi di Clarke e Dawson. Nel marzo 2014, è stata pubblicata una nuova ricerca che mette in dubbio tutte le certezze che avevamo sulla regola dei 5 secondi. L’università di Aston, nel Regno Unito, ha concluso più o meno questo: in realtà la contaminazione batterica è indissolubilmente correlata al fattore tempo (esposizione del cibo al suolo), al tipo di suolo e alla composizione chimico-fisica dell’alimento. Hanno utilizzato pasta, biscotti, pane e dolci appiccicosi , frutta e li hanno fatti cadere su pavimenti piatti, ruvidi o coperti da tappetti e moquette. Il tempo di trasferimento sul cibo dei batteri di E. coli e Staphylococcus aureus è stato tra gli 0,1 e i 30 secondi (quindi sia all’interno che all’esterno dei tempi dettati della famosa regola). Poiché i batteri hanno bisogno di un mezzo per propagarsi, il trasferimento dei microbi sul cibo è apparso legato soprattutto all'umidità degli alimenti: con l'anguria in cima alla lista di quelli più facilmente "sporcabili" e le caramelle gommose all'estremo opposto. Anche il tipo di superficie è stata determinante: sorprendentemente i tappeti sono apparsi meno "pericolosi" di acciaio e piastrelle, mentre il legno ha riportato risultati contrastanti. La durata del contatto ha influito sulla contaminazione: a durata maggiore è corrisposta una più alta concentrazione microbica. La combinazione superficie-umidità è infatti bastata a contaminare alcuni alimenti in meno di un secondo; alimenti secchi sono risultati quasi sicuri, con tempi di contaminazioni rilevanti molto più lunghi. Gli stessi ricercatori sono molto prudenti: “affermare che la regola dei cinque secondi è senz’altro valida è certamente un’esagerazione, affermare totalmente il contrario è altrettanto errato”. A. Hilton, professore responsabile della ricerca, ha spiegato che: “Paradossalmente potremmo mangiare cibo altamente contaminato da microrganismi pur non essendo mai finito per terra e mangiare cibo caduto per terra con un numero di batteri non eccessivamente elevato. Mangiare cibo caduto in terra, indipendentemente dalla quantità di tempo trascorso sulla superficie, porta con sé altissimi rischi di infezione che è bene non correre”. Finite di mangiare l’arancia, raccogliete solo alla fine lo spicchio caduto per terra e gettatelo nell’umido. Tranquilli, non andrà sprecato, diventerà compost.


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