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Ma Food’s Life in che senso?

L’utilizzo dell’inglese nel titolo “Food’s Life” non serve (solamente) a rendere il tutto più fico, ma soprattutto per via del suo duplice significato che in italiano non avrebbe reso il concetto.

Ciò che abbiamo nel piatto non termina la sua esistenza una volta che l’abbiamo digerito, bensì continua il suo viaggio all’interno del nostro corpo. Perciò Food’s Life come “la vita del cibo”.Il cibo è vita che viaggia, ed è difficile identificare quali siano l’inizio e la fine del percorso. Per comodità partiamo dalla terra e dal lavoro dell’uomo, elementi senza i quali non avremmo la possibilità di girare indecisi fra gli scaffali dei supermercati. La terra va immaginata come un essere vivente a tutti gli effetti, poiché solo attraverso gli innumerevoli processi chimici che avvengono al suo interno viene consentita la crescita di altra vita. I contadini poi sanno bene di dover curare il terreno a qualsiasi costo ogni giorno dell’anno. Basti pensare che durante la pandemia sono loro a non essersi mai fermati, le piante e gli animali non hanno minimamente badato al lockdown. Dai frutti di chi lavora i campi, di chi coltiva la vita, è dovuta la nostra sopravvivenza. In questa sede non andremo a parlare di quanto sia complicata la situazione dei piccoli produttori e di chi ancora viene sfruttato in nome della logica del profitto – basti pensare alle vittime “invisibili” del caporalato. Anche questo però è parte della vita attraverso cui passa il cibo per poi arrivare sulle nostre tavole.

Food IS Life perché il cibo è oggettivamente vita. Attenzione però, non soffermiamoci sulla concezione che mangiare serva unicamente a sopravvivere. Ciò che mangiamo diventa parte di noi poiché assumiamo sostanze nutritive necessarie alla crescita e alla riproduzione delle cellule. La frase “siamo ciò che mangiamo” non è da prendere così alla leggera, perché il cibo ci trasforma, ci cambia e ci plasma continuamente. Così tanto da poter arrivare ad ucciderci, o perlomeno farci star male – basti pensare alla diffusione di patologie come diabete, obesità e altri disturbi alimentari. Sappiamo tutti di dover seguire una dieta equilibrata e varia, molte verdure e molta meno carne – accompagnata da una buona dose di attività fisica. Ma il fattore del gusto non è da sottovalutare, poiché è ciò che ci guida nelle nostre scelte alimentari. Questo dovrebbe essere il momento in cui vi dico che il discorso è tutto qui, ma non è così. I due significati di Food’s Life non sono da intendere come separati, bensì sono due facce della stessa medaglia, due flussi che si intrecciano e i cui confini si confondono continuamente. Quale sarebbe il senso allora? Che la vita è fatta di processi e non di entità, processi che si incontrano ad un certo punto e poi continuano il loro percorso da un’altra parte, senza però davvero abbandonare ciò che hanno incontrato.


Perciò bisogna cominciare a pensare all’atto del mangiare anche come parte dei processi vitali che avvengono attorno a noi, anche dall’altra parte del mondo. Ogni pasto può diventare un appuntamento col mondo per aiutarci a scoprirlo e a sentirlo più vicino. Ad esempio mangiare il sushi è sì, un modo per sbirciare una parte dell’immensa tradizione gastronomica giapponese, ma è anche un potenziale atto violento verso il mondo. Dico questo non per suscitare chissà quali sensi di colpa, ma perché effettivamente ciò che consumiamo era vita necessaria all’esistenza di altra vita. Fare parte di un ecosistema vuol dire essere parte di una torre del Jenga: puoi togliere qualche mattoncino qui e lì per aiutarla ad alzarsi, ma se ne togli qualcuno di troppo rischi che crolli tutto. La produzione alimentare è probabilmente uno dei fattori principali che hanno plasmato il mondo a nostra immagine e somiglianza, tutto per poter soddisfare i bisogni e le richieste della popolazione. Il World Overshoot Day è il giorno in cui vengono “esaurite” le risorse prodotte annualmente a livello mondiale. Non vuol dire che il pianeta smette di produrre, ma siamo noi che chiediamo ad esso di produrre ancora di più di quanto non possa annualmente. Com’è possibile? Basti pensare al fatto che circa un terzo del cibo prodotto annualmente viene sprecato, e che ancora un’indefinita percentuale viene sprecata durante gli stessi processi produttivi per via del mantenimento di alcuni standard di mercato. La mia è tuttavia una semplificazione, le risorse “esaurite” si riferiscono a tutte le tipologie, non solo a quelle alimentari. Rimane il fatto che però, il modello seguito a livello mondiale si sta rivelando insostenibile e se tutti agissero consapevolmente attraverso le loro scelte alimentari, saremmo sicuramente in uno scenario migliore. Consumare di meno, preferire la qualità alle abbuffate, sono solo alcuni consigli banali che chiunque potrebbe darvi. Ciò che davvero fa la differenza è informarsi su ciò che si mangia e non fermarsi al “questo mi piace, questo no”. Ognuno di noi tende ovviamente ad orientarsi su ciò che trova buono, ma posso assicurarvi che avere almeno una vaga idea dell’origine e di ciò che ha portato quel pasto ad essere lì davanti a voi, gli darà un gusto più pieno e consapevole.


Tutto questo pippone per cercare di spiegare che il cibo è vita in ogni sua sfaccettatura, dal campo alla tavola, e oltre. Come dicevo, il cibo non termina il suo viaggio dopo essere stato digerito, ma continua al nostro interno, formandoci e rendendoci “ciò che mangiamo”. È parte dei processi vitali attorno a noi, esattamente come lo siamo noi stessi. Così come noi siamo ciò che mangiamo, anche ciò che mangiamo cambia l’esistenza del dove siamo. Può non sembrare, ma consumare un alimento rispetto ad un altro, influenza le vite di qualcuno che può essere lontano anche migliaia di chilometri. Food’s Life guys, e noi ci stiamo proprio in mezzo.

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