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LA NUOVA BATTAGLIA DEL GRANO

Ci sono delle questioni che mettono in relazione l’alimentazione ed il suolo, accomunate da un unico soggetto: Sua maestà il grano.

Le radici storiche del grano in Italia affondano in Epoca Federiciana e le prime note, risalenti al 1200 trattano il cereale come una risorsa commerciale ed alimentare che parte dalla Sicilia, Puglia e Calabria sino ad influenzare tutto il ‘PIL’ europeo.


Al di là delle sue proprietà nutrizionali, già ben note, sulle quali si basa la cultura e la dieta mediterranea, il Triticum ieri e oggi, ha una memoria ed un patrimonio storico degni di nota. Che siano essi positivi o negativi, ‘ai posteri l’ardua sentenza’.

L’atto che dà vita alla gran parte delle discussioni odierne è relativamente recente: La battaglia del grano sotto Benito Mussolini Presidente del Consiglio nel 1925, portata avanti da Todaro e dal genetista Strampelli (piccola curiosità: Nazareno Strampelli individuò, grazie al sostegno del Senator Raffaele Cappelli l’omonimo grano, oggi considerato eccellenza alimentare ed agricola italiana). I due infatti proposero su consiglio del Duce di assicurare completo sostentamento della produzione cerealicola alla Nazione riducendone i prezzi commerciali, selezionando i seminativi ed investendo sulle aree coltivabili. La forte intesa tra propaganda ed incremento produttivo diedero dal ’25 al ’40 la nomea all'Italia di granaio d’Europa per produzione interna e potenziale d’esportazione.

Conseguenze sulla popolazione ne furono, però, soprattutto dal punto di vista alimentare. Nell'Italia dell’epoca i produttori cerealicoli erano per la maggior parte medi e piccoli; tale ‘riforma’ costrinse quindi le aziende con basse capacità economiche a dover ottemperare all'uso personale del grano per poter sostenere i costi di produzione non pervenuti dal Regno. Il paradosso lo si ebbe negli anni della guerra, durante i quali le famiglie dei granai furono costrette a consumare scarti di cereali, oppure a dar luogo al ritorno di fiamma del mais (vedi Pellagra in Friuli, tanto che siamo in tema di malattie). Una battaglia, quella del grano andata a segno per metà, della quale ‘il ventennio’ ne fece vanti economici, spesso però imbottiti dai confronti con i grani USA, decisamente meno produttivi e più costosi.

Questo breve cenno storico è la condizione necessaria per il parallelo con i nostri tempi: Il grano non rappresenta più un vanto (almeno dal punto di vista economico), i prezzi non sono più competitivi, l’Italia non è più il granaio d’Europa ed a volte sono messi in discussione oltre ai metodi produttivi, la qualità organolettica e biologica dei nostri lavorati cerealicoli, confrontandolo proprio con quelli americani!


 

Cos'è cambiato in questi anni dal punto di vista alimentare? Le nostre abitudini.

Le linee guida odierne sul prodotto alimentare italiano portano all'eccellenza la lavorazione del cereale e non la lavorazione e l’utilizzo del suolo e la materia prima; Siamo spaventati dai fattori anti nutrizionali del grano senza badare alle sue numerosissime proprietà benefiche: di celiachia ne è affetto l’1% della popolazione mondiale, ma il 29% consuma prodotti gluten free per moda.

Ed infine le nostre necessità: l’Italia acquista grani provenienti da suoli esteri perché non riesce a soddisfare numericamente la quantità di farina necessaria a produzione ed export, tutto questo perché nonostante gli standard della dieta mediterranea consigliano la variazione tra cereali ed amidacei, è come se fossimo capaci di produrre, mangiare ed esportare solo quelli del grano disinteressandoci completamente della risposta di non produttività dei suoli estensivi e della competitività dei grani grezzi esteri.

Perciò, cari lettori: Che la nuova battaglia del grano possa essere quella di scegliere qualità piuttosto che quantità?




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