Sei a circa 300 km dal livello del mare, ci sono più o meno 23 gradi e viaggi a quasi 30mila km/h, non c’è gravità attorno a te e ti servono 2000 calorie per sopravvivere. Sei sulla Stazione Spaziale Internazionale e dopo qualche ora di viaggio da casa, come ogni buon viaggio che si rispetti, hai una fame tremenda, una chimica spaziale.
Ti giri attorno, sistemi qualche modulo, ti togli la tuta e ti poni la domanda: ’E ora che mangio?’ Vita difficile quella degli astronauti, ma soprattutto quella dei loro stomaci. Lo studio sul cosa mangiare a bordo delle astronavi nasce più o meno assieme allo studio sul come arrivare a fare viaggi lunghi nello spazio, nei quali non puoi portarti il ‘pacco da giù’ per intenderci. Qualche dato: nel 20 luglio ’69 la prima cena sull’Apollo 11 è stata a base di cubetti di pancetta rivestiti di gelatina per evitarne eventuali briciole; negli anni ’80, all’alba dei primi voli della ISS iniziarono a consumarsi cibi liofilizzati al 98%; nel 2020 il nostro connazionale Luca Parmitano, si è improvvisato chef AstroLuca, cucinando per la prima volta qualcosa a bordo della Stazione. In particolare era un ‘biscotto spaziale’ che ci ha messo circa 3 ore per completare la cottura, senza però passare alla prova dell’assaggio (quello sarà fatto dopo qualche ricerca della Nasa per confermare il successo della cucina italiana o ‘ribaltare’ il risultato). Quello che chi studia il cibo sa sugli alimenti dello spazio, è che la ‘bibbia’ della prevenzione nei sistemi alimentari, l’HACCP (Hazard Analisys and Critical Control Point) è stato ideato proprio per permettere agli astronauti di mangiare sano e non intasare i bagni delle astronavi. Infatti tale sistema, che si basa sull’autocontrollo e la previa organizzazione del processo di un qualsiasi alimento, fu inventato connubiando i rischi sanitari nel sistema alimentare e le necessità estreme degli astronauti. Successivamente l’OMS ha scelto di utilizzarlo come protocollo ufficiale anche sulla Terra e, per esempio, in Italia è vigente dal ’93 ed obbligatorio da rispettare per tutti gli operatori del settore dal 2001.
Già su Apollo 11 ci furono tracce di cibo sterilizzato ed impacchettato con film anti radiazioni che garantivano il sottovuoto, mentre le esperienze dei moduli successivi hanno determinato la ricerca nel campo alimentare fuori dall’orbita terrestre. I principali punti critici di questi anni riguardano le briciole, la diffusione dei fluidi e l’organoletticità dell’alimento. Infatti ipotizzando che esso sia salubre, ci si è interrogati su quanto possa essere dannoso per gli ambienti circostanti e per le menti degli astronauti. Ad oggi, i nostri AstroLuca, AstroSamantha e AstroPaolo possono concedersi degli ottimi pranzetti per lo più liofilizzati oppure sterilizzati sottoforma di semilavorati da consumare in vani particolari dei moduli e possono bere succhi di ogni tipo da un sacchetto con la cannuccia. La nuova frontiera del cibo nello spazio è quella di preparare il più possibile a bordo per allungare le conservazioni e migliorare l’aspetto visivo in previsione dei lunghi viaggi interstellari da qui ai prossimi 20 anni. Chi ci sta pensando di più sono i geni di SpaceX, che vorrebbero portare l’uomo su Marte, infatti il forno ed il preparato del biscotto cotto da Parmitano sono stati prodotti da questa compagnia. Detto ciò, ora che siamo informati su come si mangia nello spazio la vera domanda per ogni studente universitario sorge spontanea: ‘ Ma dopo mangiato ci si fa caffè e sigaretta con vista Terra?’ Magari un giorno…
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