Dati alla mano, quante persone sono costrette a lasciare la propria terra ogni anno? Secondo l’ultimo rapporto IMDC (International Displacement Monitoring Centre), solo nel 2018, 17,2 milioni di persone hanno subito l’effetto devastante dei disastri ambientali. Sono un popolo sofferente, silenzioso e ignorato. Sono quelli che qualche anno fa Legambiente ha definito, coniando un nuovo termine, Profughi Ambientali.
Per disastri ambientali si intendono vari eventi: tornado, alluvioni, tempeste, valanghe. A queste se ne aggiunge un’altra, che caratterizza soprattutto il continente africano, e spesso è alla base dei movimenti migratori verso l’Europa: l’erosione dei suoli.
L’erosione è principalmente di origine eolica e consiste nell’asportazione di tonnellate e tonnellate di particelle di suolo, soprattutto in seguito all’abbandono di terreni soggetti a monosuccessione per molti anni. E il suolo non è una risorsa rinnovabile, cioè una volta consumato occorrono centinaia di anni per ripristinarne l’abitabilità e le caratteristiche produttive: questo ovviamente causa frequenti crisi di produzione alimentare che talvolta spingono le comunità locali all’estinzione e all’emigrazione.
Ma se è vero che solo alla morte non c’è rimedio, ecco che qualcuno si è rimboccato le maniche e si è messo al lavoro: parlo di Justdiggit, una ONG nata nel 2010 con l’obbiettivo di combattere l’erosione (e quindi la desertificazione e tutto ciò che ne consegue) specificamente in alcuni paesi dell’Africa Centrale, la zona del pianeta più soggetta a questo fenomeno.
Tra i tanti progetti interessanti, uno dei meglio riusciti è stato sviluppato in Tanzania, nella regione di Dodoma. Lì Justdiggit (che letteralmente vuol dire ‘scava e basta’) ha applicato la Farmer Manager Natural Regeneration (FMNR), una tecnica agronomica di ripristino del territori inventata in Nigeria alcuni decenni fa. Essa è una specie di consociazione mista che consiste nella coltivazione di grosse ceppaie nei campi messi a coltura, che mantengono compatta la struttura del terreno, ombreggiano le colture erbacee e ogni anno, dopo la raccolta, vengono quasi completamente potate. I residui della potatura possono avere gli usi più disparati, dal foraggio al compostaggio, dall’uso alimentare a quello medicinale fino alla produzione di combustibile.
I risultati del progetto della ONG sono stati impressionanti: finora solo nella regione di Dodoma il programma ha ripristinato 194.400 ettari di terreno, con la crescita di almeno 14 milioni di alberi che continuano a fornire riparo e protezione del suolo e garantire alle comunità locali sviluppo e sicurezza alimentare.
Ma, cari lettori, vi invito ad approfondire con più chiarezza le campagne di Justdiggit sul lor sito… c’è davvero da perdersi!
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